lunedì 28 novembre 2011

Siamo ancora vivi

Un piccolo sussulto d'orgoglio in questo Paese diviso, spaccato e lacerato. Il Btp Day ci ha ricordato per un giorno cosa vuol dire essere italiano. Fino all'ultimo, condividere gli stessi ideali, gli stessi problemi, ed essere consapevoli dei rischi a cui andiamo in contro. Quei tanti italiani che oggi si sono recati in banca a comprare titoli italiani sono da elogiare, come lo sono quelli che l'avrebbero voluto fare pur non avendone la disponibilità. Due miliardi e mezzo di euro venduti sottoforma di titoli in un solo giorno costituiscono un numero rilevante: non tanto per il fatto economico (o meglio, anche quello per carità), ma per il fatto simbolico, l'essere uniti insieme per salvare il Paese. La coesione che hanno dimostrato oggi gli Italiani, con la I rigorosamente maiuscola, deve superare il gruppo di furbetti che ancora vive indisturbato, evadendo le tasse oppure vivendo sulle spalle degli altri. Un sentito grazie ai risparmiatori italiani, quelli onesti.

martedì 15 novembre 2011

Le misure da prendere

Ecco, a mio modestissimo modo di vedere, cosa si può fare per far tornare l'Italia a marciare. Ci sono misure di cui si è già parlato, con qualche nuova idea. 


ABBATTIMENTO DEBITO PUBBLICO (Reperimento risorse)                                                 
Misure immediate:
-  Vendita delle quote nelle partecipate, privatizzazione delle municipalizzate e della parte di patrimonio pubblico inutilizzato dismesso.
- Dismissioni dei terreni agricoli statali in favore dei giovani agricoltori (5 mld)
- Tassazione patrimoniale sui patrimoni oltre il milione di euro
-  Reintroduzione Ici per prime case con superfici oltre i 300 mq
-  Tracciabilità fin dai 200 euro (misura antievasione)
-  Contributo del 5% sugli stipendi dei parlamentari fino alla fine della legislatura, un contributo del 5% sugli stipendi dei top manager pubblici nel 2012 (alti funzionari, rettori, diplomatici, compresi i magistrati), un contributo dell'5 % sui presidenti di Regione e Provincia per 6 mesi, un contributo del 5% sugli stipendi dei consiglieri regionali per 6 mesi, un contributo dell’1% per 3 mesi sugli stipendi degli assessori regionali, provinciali, comunali e sindaci. Contributo del 1% sugli stipendi dei dirigenti pubblici per 3 mesi.
-Aumento delle tassazione sulle sigarette di 10 centesimi (300 mln)

Misure strutturali:
Ø  Riduzione del numero dei deputati, 630 a 300, e dei senatori, da 315 a 100, sul modello americano. Riduzione del 30% del numero dei consiglieri regionali.
Ø  Abolizione delle Province con il mantenimento delle aree metropolitane e blocco del turn over, prepensionamenti e reinserimenti nel mondo del lavoro privato dei dipendenti provinciali. Vendita dei palazzi delle province se di proprietà statale. Ripartizione dei compiti fra Regioni e Comuni.
Ø  Abolizione del vitalizio per parlamentari e consiglieri regionali, riduzione di 1000 euro di diaria dalla prossima legislatura per consiglieri regionali e parlamentari.
Ø  Graduale passaggio di adattamento ai costi minimi standard della democrazia, 8 euro per abitante, sul modello dell’Emilia Romagna.
Ø  Revisione dell’architettura dello Stato e dei poteri delle Regioni a Statuto Speciale per quanto riguarda i costi della politica.
Ø  Vendita del parco macchine dello Stato e affidamento del servizio ad enti privati.  
Ø  Rivedere il modello pensionistico: non deve essere intaccato il principio dei 40 anni di lavoro, assolutamente sacri. Maggiore equità, ovvero colpire i baby pensionati andando a rivedere quando sono andati in pensione: viene applicata una tassa del 5% aggiuntiva sulla baby pensione.

CRESCITA
Misure per la crescita:
Ø  Introduzione del modello di “flexsecurity” per le aziende che hanno necessità a licenziare in un momento di crisi economica. Indennità di disoccupazione che accompagna il lavoratore privato fino al reinserimento nel mondo del lavoro.  (Proposta Ichino)
Ø  Liberalizzazione del settore dei carburanti, delle ferrovie, dei trasporti, delle telecomunicazioni.
Ø  Abolizione del tariffario minimo negli ordini professionali
Ø  Riduzione del cuneo fiscale per le imprese gradualmente del 4% e decontribuzione del contratto di apprendistato per i giovani.
Ø  Piano per l’agricoltura: rilancio export, garanzie sui redditi, incentivi all’innovazione sul campo, tutele contro lobby della grande distribuzione.
Ø  Abolizione Irap per le aziende che investono in opere infrastrutturali di importanza strategica.
Ø  Sostegno al modello cooperativo, in cambio di una pressione a un maggiore rinnovamento interno a favore dei giovani.
Ø  Sblocco del patto di stabilità per i Comuni virtuosi che non presentano bilanci in rosso, i modo da poter mettere in cantiere le piccole opere.
Ø  Investimenti per il trasporto pubblico locale
Ø  Piano di esuberi della pubblica amministrazione: stabilizzazione dei precari e blocco per due anni di tutti i concorsi pubblici.

giovedì 10 novembre 2011

Via alla transizione di Monti, e dopo via i dinosauri

E' giunta l'ora di Mario Monti. Non è bello dirlo, ma siamo nelle sue mani. Non perchè non siano affidabili, anzi; è uno dei più grandi economisti europei, e nonostante le mille difficoltà, ha l'esperienza e le capacità necessarie per guidare un governo tecnico o di larghe intese che liberi l'Italia dalla situazione di emergenza. Non so però se riuscirà, in poco tempo, a ripulire il nostro paese dal degrado politico e culturale di cui la Seconda Repubblica è stata grande protagonista. Dicevamo in poco tempo, perchè dovrebbe trattarsi, teoricamente, di un governo di transizione. Ridare fiducia ai mercati, attraverso riforme strutturali importanti: cura dimagrante dello Stato centrale, piano di liberalizzazioni, privatizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico improduttivo, oltre a una riforma del mercato del lavoro e a un ridimensionamento dell'impiego pubblico eccessivo. Successivamente, se tutto ciò non basterà, allora servirà a malincuore un aumento delle imposte, partendo però da chi ha di più, e una riforma chiara delle pensioni, che però non deve toccare il principio dei 40 anni di lavoro, a mio avviso imprescindibile aldilà dell'età pensionabile. Facendo tutto ciò dovremo farcela, ma naturalmente la strada è ancora molto lunga. Per fare tutto questo ci vorrà almeno un anno, con la possibilità di andare a votare nella primavera del 2013. Per i partiti ci sarà il tempo di prepararsi alle urne, oltre a mantenere la fiducia al futuro governo Monti. Da qui sorge spontanea la domanda. Come si preparerà la politica al prossimo appuntamento elettorale? Buio assoluto. Anzi, si intravede una piccola luce, proveniente dal centrodestra. Berlusconi sicuramente non si candiderà, e lascerà il posto a qualche faccia nuova. In questo momento le timide speranze del Pdl sono aggrappate alla figura di Angelino Alfano, anche se poi c'è il nulla dietro di lui. E nel centro-sinistra? Per ora il nulla anche lì. Bersani, Di Pietro e Vendola, ormai vecchietti in termini politici. E il "bischerello" Renzi che sta alla porta, raccogliendo intanto l'apporto di molti giovani, la parte sana di questa Italia in declino.

martedì 8 novembre 2011

Due facce della stessa Italia

La prima immagine di questa mia giornata è aver visto un servizio sul Parlamento, questa mattina, in un telegiornale nazionale. Un'immagine fiacca, di un paese sconvolto dalla crisi economica, finanziaria e reale, che si porta dietro il pesante fardello di una politica incapace di rispondere ai problemi della gente. Berlusconi che ottiene il passaggio del Rendiconto dello Stato senza una maggioranza, l'incontro con Napolitano e l'annuncio delle dimissioni dopo l'approvazione del Patto di Stabilità. Non c'è bisogno di essere di sinistra per tirare un sospiro di sollievo. Oggettivamente la maggioranza di centrodestra è stata incapace di affrontare i problemi economici, perdendo credibilità giorno dopo giorno. Una svolta positiva per il Paese, ma sicuramente dannosa all'immagine, tanto che, neanche a dirlo, lo spread, nonostante le imminenti dimissioni, date per certe fra pochi giorni, è schizzato oltre 500 punti. Passiamo invece alla seconda immagine che ho visto oggi. In stazione, a Bologna, questa mattina. Ragazzi della mia età, più o meno, poco più che ventenni. In mano avevano grandi borse, con pesanti zaini sulle spalle. Erano tutti nello stesso binario, aspettavano il treno per Genova. Sono gli "Angeli del Fango", un'immagine bellissima, commovente. I politici che mettono a soqquadro l'Italia, i ragazzi che, nonostante tutto, tentano di ricostruirla.

venerdì 21 ottobre 2011

Ritornare all'agricoltura

La crisi finanziaria, il debito sempre più incontenibile e l'assenza di ricette valide per far ripartire l'economia devono costringere il nostro paese a fare una seria riflessione su ciò che siamo in grado di fare, di produrre e di mettere in evidenza sui mercati. Da tanti anni ormai il settore primario non rientra più nei piani economici dei vari governi in carica finora. Eppure, nonostante il periodo non proprio favorevole, è comunque un settore di base, un vero comparto dell'economia reale. La globalizzazione e la crescita demografica prevista per i prossimi decenni implicano che l'agricoltura ritorni ad essere un perno fondamentale per la solidità dell'economia. A fronte di una popolazione sempre più in crescita, le superfici utilizzate e le produzioni non riescono a mantenere il passo e saranno inevitabili scontri per accaparrarsi le provvigioni. La Cina, senza brillare per solidarietà nei confronti dei paesi più poveri, si è già mossa per tempo comprando e affittando migliaia di ettari in Africa e America Latina, per far fronte all'espansione della popolazione asiatica. E l'Italia che fa? Poco e nulla, essendo manipolata dall'Unione Europea in tema di Politica Agricola Comunitaria, e sempre meno competitiva sui mercati internazionali, ad eccezione delle grandi produzioni di qualità. Ma si può fare una nuova Italia agricola, che sperimenti magari nuove produzioni, incentivi neolaureati o giovani imprenditori a investire, per ritornare a giocare un ruolo di più alto profilo nella zona Ue, e per dare un ulteriore forte schiaffo all'economia virtuale, quell'economia che ci ha portato alla rovina.

venerdì 14 ottobre 2011

C'è ancora speranza

Credo nell’Italia. Ma quanti problemi, quanti malfunzionamenti, in questo paese di Pulcinella, dove la stragrande maggioranza guarda al proprio bene,dimenticando che siamo una nazione unita. Quanto cose ci sarebbero da fare, in questa nostra bella terra, e che invece non sono state fatte, con la politica latitante, lontana dai problemi quotidiani, impegnata più a salvare poltrone e propri esponenti inquisiti che a difendere gli interessi di lavoratori e impresa. Il punto vero della questione non è il rischio default, nonostante sia cruciale per il nostro futuro, ci mancherebbe, ma il disegno che c'è oltre questa situazione. Questo Paese non ha un futuro su cui focalizzare l'attenzione, perchè non si è mai posto il problema di cambiare. Cambiare in tutto, dalla politica alle grandi questioni economiche, dall'energia all'istruzione, per non parlare poi dell'etica pubblica. Ci siamo dimenticati di cambiare le facce (e le teste) dei nostri politici: si sono alternati dal 1994, sono in Parlamento da cinque legislature e non hanno risolto i nostri problemi. Correlato a questo ci siamo dimenticati di fare una serie legge elettorale. Anzi, a dire il vero l'abbiamo fatta, ma se l'ha definita “porcata” pure il firmatario, allora non possiamo rasserenarci. Ci siamo dimenticati di riformare il lavoro e la previdenza: siamo il Paese che ha di fatto creato il suo debito pubblico mandando in pensione i dipendenti pubblici dopo 15 anni di lavoro, un'assurdità che ci è costata cara. Proviamo a mandare in pensione chi se lo merita dopo quarant'anni di lavoro, togliendo invece i soldi a chi la pensione l'ha ottenuta a neanche quarant'anni d'età, magari dopo un mandato a Montecitorio. Riformiamo il lavoro e il fisco ad esso legato, in modo che le imprese scelgano modelli d'assunzione basati su contratti a tempo indeterminato, operando attraverso una fiscalizzazione di vantaggio a chi assume giovani laureati, o magari trattenendo anche in tempi di crisi i lavoratori cinquantenni, ovvero quelli che più difficilmente potranno ricollocarsi sul mercato del lavoro in piena crisi. Dobbiamo poi ripensare ad un piano per l'energia e per le infrastrutture, necessarie per lo sviluppo del paese. Troppi incentivi per le energie rinnovabili non servono, anzi a volte danneggiano il sistema drogando il mercato. Dal punto di vista energetico bisogna cercare di equilibrare la torta della produzione. La pesante decisione del popolo italiano di abbandonare il nucleare può essere comprensibile dal punto di vista emotivo, ma certamente nel prossimo futuro si farà sentire. Questo perchè il fotovoltaico non riesce a garantire ancora produzioni sufficienti, e l'apporto del nucleare nello scacchiere era fondamentale. Sulle infrastrutture siamo indietro di parecchi anni. Oltre alla Tav, necessaria per il corridoio Europeo, è necessario una sburocratizzazione immediata delle procedure e uno sblocco delle risorse, attualmente bloccate dal patto di stabilità, che i Comuni hanno in giacenza, e che potrebbero dare un grosso aiuto in questa fase di recessione, mentre per le grandi opere sarà necessario il coinvolgimento di soggetti privati. Infine dobbiamo rifondare completamente il sistema universitario. Tralasciando un attimo la scuola di base, puntiamo al sistema universitario. La rivoluzione meritocratica deve essere centrale, al pari della ricerca. Per aumentare la qualità dell'istruzione dobbiamo sì selezionare bene i professori, ma non basta. Gli studenti sono tantissimi, e i corsi di laurea pure. Avanzo la proposta di mettere il numero chiuso a tutti i corsi, da verificare in base alle reali esigenze e iscrizioni. Agendo invece sulle tasse universitarie, farei un cambio di rotta, seppur molto contestabile. Tagliare le tasse d'iscrizione per le facoltà scientifiche, e incrementare leggermente quelle umanistiche. Questo non per discriminare qualcuno, ma per le reali esigenze di questo paese, che necessita un maggior numero di ingegneri, chimici, fisici e matematici. Tagliare le consulenze, e utilizzare quei fondi per bandire concorsi per nuovi ricercatori, svecchiando il personale. Tagliare gli stipendi dei rettori, rendere pubblici i bilanci, e autonomia finanziaria, tre capisaldi per ripartire. Tutto ciò che ho detto possono sembrare solo parole, e in effetti lo sono, destinate a rimanere tali. Ma io confido in una nuova classe politica, giovane, che si alleggerisca lo stipendio e che adotti una significativa cura dimagrante allo Stato, che venda i beni inutilizzati dello Stato, che rende possibile un federalismo fiscale equo, che prelevi più tasse su yacht, ville e paradisi fiscali piuttosto che colpire le rendite finanziarie, oltre a fare una tosta legislazione anti evasione. Solo così potremo avere risorse e cervelli per ripartire. Ma la strada è ripida e lunghissima. Ricordiamoci che siamo ancora il Paese in cui il presidente di una provincia del Trentino guadagna di più di Barack Obama.

venerdì 16 settembre 2011

Un gran "casino"

L'Italia nella polveriera. Il presidente del consiglio nel bel mezzo dei traffici giudiziari, la spaventosa crisi economica e la credibilità pari a zero del nostro paese. Siamo a rischio, da tutti i punti di vista. Tralasciando i problemi che il premier ha qualche problemino personale con i magistrati, veniamo a capo della situazione economica. La manovra da oltre cinquanta miliardi tampona si la crisi del debito e si prefigge di azzerare il deficit entro la fine della legislatura, ma non offre nulla a chi vuole investire per la crescita economica. I buoni imprenditori, che hanno in mano il destino economico del paese, chiedono misure e interventi urgenti per ridare fiducia ai consumi. Ora, quando c'è una crisi economica, non c'è alternativa al mantenimento dei conti pubblici in ordine, e da questo lato Tremonti ha agi to con saggezza. Il problema è un altro. Senza la crescita, non c'è possibilità di mantenere i conti in ordine. Non c'è ancora stato un economista che abbia sperimentato una formula matematica che faccia automaticamente crescere il Pil, ma qualche ricetta c'è, soprattutto per l'Italia di questo momento. Favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, migliorare il sistema universitario, e ritornare all'economia reale, ovvero all'Italia manifatturiera che produce grazie al sudore e alle braccia, senza calcolatrici e carta, roba che per intenderci troviamo a Piazza Affari.

sabato 27 agosto 2011

Autogol

Ecco come perdere credibilità. Essere un calciatore, avere un ottimo conto in banca, belle macchine, belle donne, e scioperare. Questo è l'identikit indiziato. Il silenzio e lo stop per la vergogna di questo paese, che, soprattutto nei momenti di crisi economica e politica, ha utilizzato il calcio come oppio per il popolo. Questa volta i politicanti del Palazzo Romano non potranno distogliere l'attenzione della gente con il calcio. La prima giornata non s'ha da fare, tutto rimandato al dopo Nazionale. Compromessi minuziosi e piccolezze contrattuali spengono così i riflettori del campionato più pazzo del mondo. Una delle pagine più nere della storia di questo sport nel nostro paese, bombardato come non mai dai giornali quest'oggi. Colpa dei giocatori? Un po'. Colpa delle società che li gestiscono? Molta. Troppi soldi, poco cuore.

martedì 23 agosto 2011

Principio primo della crescita

Questa volta devo dare ragione alla Lega. Le pensioni sono già state abbondantemente toccate, da tutti i governi, di destra e di sinistra. Se c'è stata una peculiarità italiana che è stata più volte sottolineata in questa grave crisi è stata la sostenibilità e la solidità del nostro sistema pensionistico, nonostante un'età media pensionabile più giovane rispetto all'Europa. Questo si è reso possibile grazie alle varie riforme strutturali fatte negli anni, e ai recenti aumenti fino a 65 anni per i pensionamenti delle donne, nel pubblico e nel privato. Una manovra ulteriore potrebbe andare a soffocare un po' il sistema e i lavoratori, nonostante garantisca una fresca liquidità per l'Erario. Se si vuole veramente battere cassa, si possono recuperare tante risorse. Non per sembrare ancora una volta demagogici, ma va attuato un taglio immediato all'amministrazione centrale e locale, con l'abolizione di province, comunità montane, enti, commissioni e riduzione degli stipendi al livello della media europeo, il tutto da subito, dalle prossime elezioni, invece che rimandare come sempre nella storia della politica italiana. Dall'evasione fiscale possono arrivare tanti miliardi, ma il punto su cui lavorare è la vendita del patrimonio statale, che potrà garantire dai 200 ai 300 mld di euro. E' però necessario inserire un principio fondamentale all'interno della manovra. Parte dei risparmi devono essere destinati alla crescita. Senza crescita il debito e gli interessi su quest'ultimo aumentano: se non ripartiamo, è un cane che si morde la coda. E fra un anno dovremo rifare un'altra manovra.

venerdì 12 agosto 2011

Dovevamo pensarci prima

Se la manovra così com'è fosse confermata, sarebbe già un bel passo avanti nel collettivo italiano, anche se rimangono ancora molti dubbi e qualche piccolo rimpianto per non averci pensato prima. 50000 mila poltrone via da province e comuni non sono poche in un paese in cui da vent'anni si parla di tagliare i costi della politica e poi non se ne fa un bel niente. Purtroppo già vedere che questi posti saranno tagliati dalla prossima legislatura fa torcere il naso, anche se è inevitabile vista l'impossibilità di tagliare a giunta in corso. Se poi ci fosse anche una drastica riduzione in Parlamento di stipendi, vitalizi e privilegi, allora anche noi italiani comuni troveremo più facile fare qualche sacrificio per salvare questo paese dalle acque sporche in cui si ritrova. Erano anni che attendevamo liberalizzazioni e privatizzazioni, oltre alla tassazione delle rendite finanziarie: il fatto è che bisognava adottare questi provvedimenti già uno o due anni fa, quando era necessario ristrutturare il nostro sistema economico durante la crisi, per essere dinamici nel post crisi. Di riforme negli ultimi anni non se ne sono viste, a parte la riforma (fantoccio) della scuola. Se avessimo tagliato i costi della politica dieci anni fa, probabilmente il debito pubblico sarebbe ora minore, e forse magari aggiungendoci qualche aggiustamento su pensioni, ordini professionali ed evasione fiscale, avremo una crescita doppia o tripla rispetto a quella attuale. Tuttavia, siamo tutti sicuri su una cosa. E' finita un'era. E' finita l'era dell'economia del petrolio, dove dietro la carta virtuale dei pazzi broker di Wall Street non c'era un'economia reale che la sosteneva. E' finita l'era dei privilegi, anche se forse non è finita quella dei politici. E' ormai un brutto ricordo il pensionamento dopo 15 anni di contributi dei dipendenti pubblici italiani, una delle cause principali dello scoppio del debito pubblico. E' finita l'era del andare a credito per consumare di più. Insomma, in pratica è finita l'era in cui abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità.

giovedì 21 luglio 2011

Eutanasia del centrodestra

Il clima non è quello del '92, sono troppe le differenze e differente è anche il contesto rispetto oggi. Ma la sostanza è quella, anche se c'è un elemento di portata storica E' la prima volta che, per fatti non di sangue, viene rilasciata dal Parlamento l'autorizzazione a procedere, anche se è chiaro che sono stati usati, forse per buoni motivi, due pesi e due misure. Alfonso Papa ha passato la prima notte in carcere ormai da ex parlamentare Pdl, mentre il collega e senatore Tedesco, ex Pd ora Gruppo Misto, l'ha scampata. Ormai è finita, la Lega sta lentamente iniziando a staccare la spina.

mercoledì 29 giugno 2011

Sforbiciatevi

E' ora di finirla con privilegi, indennità, auto blu e pensioni anticipate. Può sembrare vecchia demagogia, ma il limite di sopportazione degli italiani si sta decisamente abbassando. Tremonti sta mettendo a punto il nuovo pacchetto di misure per la manovra estiva da 47 miliardi di euro. Possibile che come principale misura allo studio ci sia quella di un ulteriore innalzamento dell'età pensionabile, quando deputati e senatori dopo neanche due mandati hanno già diritto a percepire la pensione di vecchiaia. E che pensione. Quelli che lavorano e che tengono in piedi questo paese, tutti in pensione più tardi. Loro invece, seduti e comodi nel loro banchetto a Montecitorio o a Palazzo Madama, niente. Finalmente si prospetta la tassazione sulle grandi rendite finanziarie, mentre per i tagli alle tasse sul lavoro bisognerà aspettare ancora un po'. Si chiede un ulteriore sacrificio al paese, sarebbe ora di tagliare un po' di spese là, nella giungla della politica a Roma. Tagliamo le indennità, le spese telefoniche, i privilegi sui trasporti, i baby pensionati ex parlamentari, gli aerei blu, e magari anche qualche dipendente delle due Camere. Se lo faranno, anche noi accetteremo qualche sacrificio. Ma dopo di loro, sono loro che devono dare il buon esempio.

martedì 10 maggio 2011

Torniamo al vecchio stile

Per una volta mi allontano dai soliti temi legati alla politica ed economia per scrivere di qualcosa che batte fortemente nel cuore di ogni italiano. Un po' di calcio non fa mai male. Può fare male se lo vivi troppo intensamente, da tifoso vero. A vedere questa Juve, ragazzi miei, c'è da piangere. Bianconero fin dalla nascita, non mi ricordo un periodo più buio di questo per gli juventini. Nei miei vent'anni di vita mai, forse qualche crisi negli anni 60'-70', poco e niente. Abbiamo sempre visto i nostri beniamini alzare coppe. Sinceramente è da troppo che non vediamo capitan Del Piero alzare un trofeo. Ma oltre ai successi, alla Juve del post Calciopoli, sembra mancare qualcosa. Qualcosa di valore incomparabile con qualsiasi altro trofeo. Siamo diventati improvvisamente dei mangiallenatori. Ogni anno ne arriva uno nuovo. Da Deschamps a Ranieri, da Ferrara a Del Neri. Tutte brave persone, per carità, ma lontani dai canoni Juve, lontani da quella ricerca di eccellenza per affrontare le stagioni sportive. Questo manca alla Juve, un nuovo stile, una dirigenza forse nuova. Abbiamo ingaggiato Marotta nella dirigenza. Una persona molto competente quando si parla di bilanci. Ma il calcio è un'altra cosa: nel calcio la dirigenza è fatta da ex calciatori, gente che conosce l'ambiente e sa come rapportarsi con i calciatori stessi. Non parliamo poi della dirigenza precedente, targata Secco e Blanc. La fiera dell'anticalcio in persona. Per favore, torniamo al vecchio stile. Prendiamo qualcuno che abbia nel cuore la Juve. Ad esempio, per dare un segnale, lanciamo il nome di Antonio Conte sulla panchina. Ed è solo un esempio..dei tanti.

venerdì 15 aprile 2011

Sarko sergente di ferro

L'Italia, insieme a Francia e Germania, il paese membro storico dell'Ue, primo fondatore della santa alleanza continentale. In realtà lo sanno pure i bambini che noi non contiamo veramente nulla, e che il bello e il cattivo tempo lo fanno i paesi nordeuropei. Schiaffi, schiaffetti, schiaffoni. Dall'Unione Europea ne abbiamo prese di cotte e crude. Ora, non tutto però si può accettare. Che l'Unione sia totalmente influenzata nelle scelte politiche dai sondaggi elettorali francesi, questo non lo possiamo accettare. Perchè di questo si tratta. Il partito di Sarkozy, in diminuzione di consensi, sta cercando di rosicchiare voti a quella vecchia volpe di Jean Marie Le Pen, leader dell'estrema destra transalpina. La politica attuale sull'immigrazione dell'Eliseo di fatto infrangono il trattato di Schengen. Avete per caso visto qualche commissario o parlamentare europeo alzare il braccio e criticare duramente il presidente francese?. Non si è visto o sentito nessuno, d'altronde la Francia la fa da padrona là dentro, in quel Palazzo a Strasburgo, dove le realtà locali sono completamente dimenticate e distanti anni luce.

domenica 10 aprile 2011

Vogliono raddoppiarsi i rimborsi elettorali

Mentre negli Stati Uniti, notizia di queste ore, Barack Obama ha firmato la finanziaria più rigorosa di tutta la storia Usa, esprimendo la triste ma consapevole frase "Un taglio doloroso ma doveroso, perchè in nome dei nostri figli abbiamo il dovere di vivere in funzione dei nostri mezzi", qui in Italia c'è ancora chi scherza con il denaro pubblico. Ascoltando oggi un telegiornale nazionale, ho appreso la notizia che in Parlamento è stata depositata una bozza, proposta dal Partito Democratico, ma poi cofirmata anche da esponenti di tutti gli altri partiti presenti alla Camera, che avanza l'ipotesi di raddoppiare i rimborsi elettorali a tutte le forze politiche. E quando diciamo tutte, diciamo proprio tutte, dai primi partiti come Pdl e Pd fino ai movimenti che raccolgono a malapena centomila voti. Cosa si può fare? Niente, se non quella di stare a guardare impotenti  questo scenario impietoso. Oppure, per i più temerari, andare a due metri dal portone di Montecitorio e urlare la propria rabbia. Ma forse, anche questa soluzione, sarà vana...

lunedì 28 marzo 2011

Ma dov'è l'Europa?

Sembra sparita, volatilizzata nel nulla. Dov'è l'Europa tanto osannata, la magica istituzione sovranazionale che era nata per favorire, per migliorare, per crescere, e ora si sta rivelando un clamoroso fiasco? O meglio, esiste un'Europa per tutti, oppure solo per qualche nazione guida? La latitanza Ue nel contesto della guerra libica ha i contorni dell'incredibile. In principio si è mossa completamente disunita; Francia e Inghilterra hanno riscoperto nell'album di famiglia il loro passato da potenze colonizzatrici, si sono gettate all'arrembaggio della Libia: sotto sotto il petrolio fa ancora comodo in tempi difficili per l'energia nucleare. La Germania, di conseguenza, si è ritirata subito dallo scacchiere, a mio avviso molto intelligentemente, seppur non sia brillata per coraggio e spirito di unione. L'Italia è corsa dietro alle prime due, da una parte per non contrastare il "volere" europeo (mai spiegato dai vertici continentali), dall'altra forse dimenticandosi della sua posizione strategica per i migliaia di rifugiati. Tuttavia è probabilmente certo che, anche se non fossimo entrati in guerra, avremmo dovuto affrontare una crisi umanitaria di queste proporzioni. Proprio in questa fase l'Europa manca all'appello per la seconda volta in questa vicenda. Dov'è il suo sostegno, dov'è il suo appoggio? Lo cercherete invano. L'Italia paga le tasse e non obietta mai alle normative europee, che per legge prevalgono sull'ordinamento nazionale. Ora però anche noi chiediamo qualcosa in cambio. Qualcosa di dovuto, qualcosa che ci spetta.

mercoledì 23 marzo 2011

Università: il vero problema è l'eccesso d'offerta

E' da tempo che si dice di fare, fare e fare, e poi non si combina mai niente, per un'università migliore. Ho sentito tante parole in questi anni, tante bozze di riforme universitarie agitate da qualsiasi schieramento politico, per poi non produrre nulla. Bisogna partire da un presupposto: la migliore università non è quella che produce il maggiore numero di laureati, ma quella che fa trovare al maggior numero di laureati un buon posto di lavoro. Vedete, negli anni 50-60', con la ripresa economica nel dopoguerra, giustamente si sono aperte per tutti le porte dell'università, tentando il più possibile di farvi accedere la maggior parte degli studenti. Questo perchè c'era un mondo del lavoro che sorreggeva l'elevato numero di laureati prodotti. Bene o male, quasi tutti riuscivano a trovare un'occupazione. Aziende che aprivano, nuove personalità che venivano ricercate, giornali ed editori che assumevano, persino i filosofi trovavano lavoro. Ora, purtroppo, questa gallina dalle uova d'oro non esiste più. Quella macchina che assumeva, assorbiva e acquisiva sempre più personale ormai si è spenta. Sempre meno posti, malpagati e poco sicuri contrattualmente. Questo non solo per colpa delle varie crisi economiche e politiche susseguitesi nel corso degli anni: anche l'università ha la sua dose di responsabilità. Non me ne vogliano le giovani generazioni, di cui io faccio orgogliosamente parte, ma a me sembra che questa politica che molti (non tutti) gli atenei prediligono, ovvero i corsi aperti, sia fallimentare. L'anno scorso, anno accademico in cui io mi sono iscritto all'università, la facoltà di Scienze Politiche di Bologna, dove io studio, ha visto un numero di iscritti del corso non meno inferiore alle duecento unità. Decina più, decina meno. Ammettiamo che questi studenti siano tutti bravissimi e che si laureino tutti in tempo fra due anni. Ammettiamo pure che vogliano tutti andare a lavorare, non continuando il percorso di studi. Cosa fanno? Niente, un bel niente, perchè Bologna e l'Emilia Romagna intera avrà bisogno massimo di 10-20 sociologi l'anno a dir tanto. Naturalmente ho preso il caso più eloquente, ovvero un corso di laurea che non ti garantisce le stesse opportunità che ti offre un corso di Ingegneria o di Medicina. Ma la musica non cambia passando in qualsiasi altra facoltà. E' un periodo che va così, a dir la verità è un periodo che si sta allungando un po' troppo. I posti di lavoro sono pochini pochini, e noi tutti, ragazzi, siamo in troppi. Il numero chiuso applicato a tutti i corsi di laurea di tutte le facoltà potrebbe essere un prima soluzione per tamponare quanto meno il problema. Ovviamente non è l'unica, ma potrebbe aiutare già a smuovere qualcosa.

sabato 12 marzo 2011

Rialzati Giappone

E' incredibile quanto l'uomo possa essere veramente piccolo e impotente al cospetto di madre Natura. Le scene di morte, distruzione e disperazione in Giappone di fronte alla potenza del terremoto prima, e del maremoto poi, sono l'immagine che forse, anche le tecnologie più avanzate, possono veramente poco contro la forza della natura. Una potenza sprigionata migliaia di volte più forte del terremoto a L'Aquila. I giapponesi, si sa, sono preparati a questo tipo di incoveniente; abitano un arcipelago vulcanico, convivono quotidianamente con la paura, che per loro ormai è diventata consuetudine. Ma mai avrebbero pensato a un disastro del genere. L'uomo, questa volta, non ha potuto nulla. Tocchiamoci gli attributi. I Maya non possono avere ragione.

martedì 22 febbraio 2011

La Primavera Islamica

Come la primavera di Praga, come la rivoluzione dei paesi satelliti negli anni 80', come qualsiasi protesta a ogni regime dittatoriale. L'alba del 2011 si è alzata con un nuovo profumo di vitalità nelle popolazioni del Maghreb, che hanno vissuto finora sotto finte democrazie. La catena umana, iniziata a gennaio con la protesta del pane in Tunisia, si è diffusa poi in Egitto contro il regime di Mubarak e ora in Libia, a cui si è conseguita l'imminente cacciata di Gheddafi, al potere da più di quarant'anni. Il filo conduttore è quello che anima il pensiero degli oppressi: voglia di democrazia, di libertà, di diritti civili, di diritto di voto, di pane e di acqua. C'è la consapevolezza di poter dire la propria opinione, i tempi ormai sono maturi. La gente è ormai stanca di convivere quotidianamente con corruzione, povertà e ingiustizia. Il popolo islamico si è svegliato, tutto il nord Africa mediterraneo è in fermento. Ribaltare i vecchi ordini gerarchici, riprendersi il potere, finora in mano a poche famiglie potenti come primo scopo, e magari ristabilire rapporti nuovi fra le classi, oltre a isolare, speriamo, le frange più estreme del fondamentalismo. Cercheranno di rifondare una democrazia, in una stagione che si appresta ad essere caldissima; una nuova, forse, primavera di libertà.

domenica 20 febbraio 2011

Vecchioni, l'eleganza

Mi sono preso una pausa, l'ultimo post era stato pubblicato l'ormai lontano 18 gennaio, ma le ragioni sono varie, il tanto studio e lavoro ne fanno una grossa fetta. Non potevo che riniziare con l'ormai concluso Festival di Sanremo. Quest'anno bello. Era da tanto che non me la gustavo così. L'ho iniziato a rivedere nel 2009, con l'accoppiata Bonolis-Laurenti. Solo per la comicità, non certo per la canzoni. L'anno scorso indecenza allo stato puro, l'indimenticabile protesta dell'orchestra giudicante, il secondo posto ancora più scandalosa di Pupo e del Principino di Casa Savoia. Quest'anno è andato tutto diverso. Già, le premesse erano buone. Un solo nome a cui puoi legare tante cose, tanti ricordi, tanta Italia. Gianni Morandi. Lui, un'icona della musica italiana, forse la Musica italiana con la M rigorosamente maiuscola. Lui che sicuramente non è conduttore, e si vede. Lui, che ha convinto Vecchioni a tornare a cantare all'Ariston dopo 30 anni. Lui, che ha riportato come nessuno prima di lui finora il Festival al posto che gli compete nel cuore degli italiani. E poi i cantanti, e fra tutti uno. Lo so, è monotono parlare esclusivamente del vincitore. Ma Roberto Vecchioni, un altro, insieme a Gianni, del solidizio musicale italiano degli anni 60-70 anni, è l'immagine di questo Festival. Eleganza, stile, gentilezza, voglia forse di rimettersi in gioco dopo tanti anni lontano da quel palco. Ha interrotto lo strapotere dei reality e dei talent show. Era ora. Con una canzone, che, non è una canzone. E' poesia. Poesia pura. Un inno all'amore, all'unione, alle donne, a noi studenti, all'Italia, e al nostro popolo. Chiamami Ancora Amore rimarrà, spero, e credo, nei cuori di tutti gli italiani per lungo tempo. Grazie professor Vecchioni, per l'ennesima lezione. Grazie, per la stupenda canzone, che almeno io, non dimenticherò mai.

martedì 18 gennaio 2011

La democrazia se la conquistino loro, gli Afghani

In queste giornate con l'attenzione mediatica completamente incentrata sulle vicende personali del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, attraverso il blog vorrei togliere un po' l'attenzione su quei fatti, su cui la magistratura farà il suo corso. Tutti sembrano essersi dimenticati di un fatto molto più importante, molto più grave. E' morto un altro alpino italiano, Luca Sanna, in un avamposto nella zona di Bala Murghab, ucciso da un terrorista vestito da militare afghano, oltre ad un altro militare ferito. Ormai ne succedono di tutti i colori, i morti e i feriti sono quasi all'ordine del giorno. E la domanda risorge, ogni volta, crudelmente, sempre spontanea. E' giusto mantenere la nostra presenza in Afghanistan? Cosa possiamo fare per fermare le violenze? Nulla. Nulla. Non possiamo fare niente. Se non quello di ritirarci. Queste giovani vite valgono la libertà e la democrazia in Afghanistan? Probabilmente no. Spendiamo troppi, troppi, troppi soldi per mantenere il nostro contingente: potremo utilizzarlo per ridurre il nostro debito pubblico. Non voglio cadere nel solito luogo comune, ma, almeno per me, è dura continuare a sopportare giovani vite italiane spezzate per la libertà altrui. E' ormai dieci anni che siamo in Afghanistan, le cose non sono cambiate più di tanto, anzi sembra che stiano peggiorando. Quel popolo è stato aiutato fin troppo. Arrivato fino a questo punto, io farei come Pilato. Me ne laverei le mani. La nostra pazienza ha un limite.

sabato 15 gennaio 2011

Ora Marchionne deve spendere

Il testa a testa della lunga notte torinese all'interno dello stabilimento Fiat di Mirafiori non se lo aspettava forse nessuno. A parte la Fiom e una parte di coloro che possiamo definire "a sinistra", tutti, ma proprio tutti, si aspettavano un plebiscito. Bisogna essere onesti. Le ragioni del sì hanno vinto grazie agli impiegati, mentre la fabbrica, i bassifondi, in sostanza dove si suda, si è divisa, spaccata a metà. Il 45% dei dipendenti con questo voto dichiara che avrebbe preferito rimanere disoccupato che lavorare a quelle condizioni. O forse si aspettava che Marchionne ritrattasse. L' ad di Fiat non ritratta, signori. Non perchè voglia fare il padrone nemico e odiato dai lavoratori. Semplicemente la nostra industria deve tornare a pedalare, poichè in troppi anni abbiamo perso in competitività. Bisogna far capire che anche qui, in Italia, ci sono importanti possibilità per investire. Si deve far capire ai grande gruppi italiani, europei e mondiali, che anche il nostro paese può essere un opportunità; dobbiamo capovolgere nuovamente l'ago della bussola verso la nostra parte, distogliendola dai paesi come Cina e India. In Italia si può produrre. Ora Marchione deve tirare fuori il miliardo per ripartire.

giovedì 13 gennaio 2011

Fiat: quando un azienda divide tutti

Ha diviso tutti, ma proprio tutti. Il futuro della Fiat ha diviso gli operai, le rappresentanze sindacali e i partiti. Addirittura troviamo spaccature all'interno di uno stesso partito, naturalmente quello Democratico, che, in verità, non è mai stato unito fin dalla sua nascita nel 2007. Il conflitto fuori dai cancelli di Mirafiori si è fatto esaltante, al limite dello straripante: operai targati Cgil-Fiom ed altri tesserati Cisl e Uil, pesanti sono stati i contatti a suon di parole. E' chiaro il contrasto fra due modelli di sindacalismo: quello di ispirazione cattolica di Cisl e Uil, che vedono la proprietà come un figura imprenditoriale importante, con cui bisogna trattare per migliorare il lavoro e la produttività. A questo si contrappone quello di stampo socio-comunista massimalista, che invece vede l'imprenditore come un "padrone" e nemico da combattere. Qual è il migliore? Non è possibile affermarlo, certamente entrambe meritano rispetto e attenzione. Vedremo domani sera quale sarà il modello scelto dai lavoratori torinesi. A livello politico, il centrodestra sta naturalmente dalla parte di Marchionne. Eloquenti le parole del premier Silvio Berlusconi, che ha giustificato la perdita degli investimenti Fiat a Mirafiori qualora dovesse prevalere il fronte del no. Il PD e in generale tutto il centrosinistra si trova diviso, con diverse voci; dal catastrofismo del segretario Bersani all'apertura a Marchionne di Renzi e Fassino, fino a Sel, con un Vendola, super fan della Fiom, ma duramente contestato ieri fuori dalla fabbrica, per il suo presunto doppiogiochismo fuori e dentro le fabbriche. Tutte chiacchiere e distintivo. Ma intanto in catena si lavora, e dalle 22 di questa sera si inizia a votare. Domani sera sapremo la volontà dei lavoratori.

martedì 11 gennaio 2011

A Mirafiori ci vuole un si

Andate a raschiare sul fondo del barile del mondo delle imprese e trovatemi un azienda che non sia la Fiat che voglia investire 700 milioni di euro in Italia. La cercherete invano. Certo, andando ad analizzare quello che si chiede ai lavoratori bisogna riflettere sull'accordo: la riduzione delle pause, lo spostamento del pranzo a fine turno, la possibilità di fare straordinari, certo sono sicuramente condizioni a vantaggio dell'azienda e solamente per alcuni apparentemente negativi per i lavoratori. Quest'ultimi infatti potranno scegliere se fare straordinari o no, potranno decidere se lavorare di più o no: chi lavorerà di più e chi lavorerà di notte sarà pagato di più. Il mercato si è voluto, si è ammodernizzato, e l'Italia per anni è rimasta a guardare, mentre in Francia e Germania si ristrutturavano i sistemi di lavoro e gli impianti. E non in Cina, dove è chiaro che i diritti dei lavoratori sono totalmente lesi. L'industria italiana deve ripartire dal recupero della competitività, legando gli aumenti salariali all'aumento della produttività, e lasciando da parte le vecchie ideologie, le quali non hanno giovato la presenza italiana sui mercati internazionali. Se si va contro votando no, l'azienda risponde picche e si perde l'investimento. Se si perde l'investimento Torino perde la Fiat e Mirafiori. Si brucerebbero 12000 posti di lavoro nel comprensorio di Mirafiori più l'indotto, oltre a un pezzo di storia, la storia dell'industria del nostro paese, la storia del fenomeno migratorio interno negli 40-50, la storia della Fiat come icona nazionale simbolo del boom economico del Dopoguerra. L'accordo sa da fare. Assolutamente.

venerdì 7 gennaio 2011

Fino all'ultimo seggio

E' partita l'operazione di Berlusconi: incassare la fiducia di quanti più possibili deputati per mantenere salda la legislatura e di conseguenza ripartire con le riforme. FLI O UDC? Questo è il dilemma che attanaglia il premier..Se cercare di convincere gli ex compagni di partito seguaci di Gianfranco Fini o catturare l'attenzione degli ex alleati di centro. Occhio alla tresca, che si giocherà sui temi etici ed economici. Tanti sono gli sponsor di Pier Ferdinando Casini, da Gasparri a Frattini, fino a Gianni Letta. Occhio però anche alla Lega, che è alla finestra e guarda con attenzione ai giochi di palazzo. Se non porteranno a casa il federalismo il prossimo 23 gennaio, si andrà dritti alle urne. E il federalismo, con l'Udc, non è facile da portare a casa.

lunedì 3 gennaio 2011

COMPLIMENTI A LULA

Complimenti, non c'è che dire. Il governo brasiliano ha deciso di difendere Cesare Battisti, non concedendo all'Italia l'estradizione del ex terrorista delle Brigate Rosse. 4 condanne per quattro omicidi negli anni di Piombo, un mix letale che gli ha regalato l'ergastolo. Un ergastolo un po' strano però. Infatti la pena non sarà scontata in Italia, bensì in Brasile, dove nel 2007 Battisti fu arrestato. Non oso immaginare cosa sta passando per le menti delle famiglie Sabbadin, Santoro, Torreggiani e Campagna. Quattro famiglie colpite dalle BR. 4 padri di famiglia uccisi tutti e quattro mentre lavoravano per portare a casa il pane per le proprie famiglie. Uccisi, perchè ribellatisi chi con la forza e chi non, ai nuclei proletari combattenti. Se queste 4 persone non avranno giustizia, beh dovremo ringraziare il "grande" socialista Lula, il presidente che ha guidato per otto anni il Brasile e che è sempre stato, almeno in Brasile, dalla parte dei lavoratori.

Quanto sei bella Roma quand'è sera...reportage romano 28-29 dicembre

Nei giorni di riposo e di stacco nel periodo natalizio oltre ad alcuni giorni in montagna con gli amici, ho avuto l'occasione di ritornare per la quarta o quinta volta nella città Eterna, Roma. Troppo stupenda. Troppo Vera. Semplicemente Unica. Religiosa, politica, economica, culturale. Ogni aggettivo presente sul dizionario italiano può essere accostabile senza problemi alla città dei Sette Colli. Stazione Termini, questo è il mio primo passo, dopo due ore di viaggio con la Frecciarossa. Simbolo di un Italia che per certi versi va fortissimo. Ore 9 del 28 dicembre. La stazione è affollata, come sempre, come ogni minuto che trascorre veloce nella Capitale. Il tempo di lasciare i bagagli in camera, e pronti via, si parte per il centro. La prima tappa è il Colosseo. Si tocca con mano l'umiltà dei venditori abusivi stabiliti all'ombra dell'Anfiteatro Flavio, mentre sfumano nell'aria i richiami dei Centurioni, in attesa di qualche turista e di qualche foto per alcune decine di euro. 30-40 euro circa, non pochi; ma sotto sotto è lì che si sente la vera romanità. In cielo il sole è alto e quasi riesce a riscaldare la giornata invernale romana. Pochi minuti dopo arriviamo al Circo Massimo. Imponente. Un'emozione calpestare la terra dove correvano le bighe 2000 anni fa. L'unica pecca  alcuni lavori di manutenzione che oscurano parte del tracciato. Ma va bene così. Ritornando e scendendo dopo vicino a una piccola chiesa Ortodossa, ritorniamo verso i Fori Imperiali, il punto nevralgico di Roma. A rivederli e a rivederli, mi lasciano ogni volta che li vedo sempre senza parole. E' come essere catapultato di migliaia di anni indietro. Poco dopo saliamo le scale che portano in Campidoglio, le foto all' Altare che sento come mio, l'Altare della Patria, di tutti gli italiani. Un punto fermo dove sventola in alto il nostro tricolore. L'omaggio al Milite Ignoto è sempre qualcosa di toccante, quest'anno ancor di più. Il 2011, l'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia. All'interno dell'Altare c'è il museo-omaggio al tricolare. E' d'obbligo fermarsi a guardare la bandiera, per cui tanti italiani hanno versato lacrime, dolore e sangue. Tutto d'un fiato ripartiamo e Via Del Corso è sempre lì, maestosa, come qualsiasi cosa presente nella Capitale. Pantheon, Senato e Piazza Navona. Tutti tasselli dell'universo romano, indispensabili per rendere il puzzle perfetto. L'ultima, Piazza Navona, pullula di bancarelle; ricche, povere: chiamatele come volete. Migliaia e migliaia di Befane, befanine, dolci, dolcetti, statuine per presepi, che rendono quel tipico scorcio romano ancora più natalizio. Dopo una breve sosta in pizzeria, ripartiamo per la zona Rossa, dove batte il cuore della politica Italiana. La Camera e pochi passi più in là Palazzo Chigi. Ogni volta che vedo Piazza Colonna al telegiornale, sogno ad occhi aperti se magari un giorno potrò anch'io essere lì, con una troupe di giornalisti lì, per seguire la nostra politica. Ancora presto, si vedrà. Dopo la Fontana di Trevi, troppo affollata, saliamo al Colle. Il Quirinale. Simbolo della nostra Italia. La nostra Repubblica risiede lì. Ho avuto anche il privilegio di essere lì fuori in quei giorni di preparativi per il discorso di fine anno del Presidente Napolitano. Finisce il primo giorno. Ne abbiamo viste di meraviglie. Al secondo giorno dedico solo qualche riga. Semplicemente perchè si è visto solo shopping delle donne (mamma e sorella). Per fortuna è rimasto un po' di tempo per degustare da fuori qualche redazione romana importante, come La Stampa e il Messaggero. Con la speranza di poter entrare un giorno e poter lavorare lì.