giovedì 4 dicembre 2014

Il vino italiano punti sui Bric per crescere

foto presa dal sito "www.italianelbicchiere.it"
Dire che il vino italiano sia un'eccellenza del nostro Made in Italy è come scoprire l'acqua calda. Dire però che il nostro vino deve diventare la punta di diamante del nostro export è una constatazione e un percorso da perseguire al meglio. Questo perchè con i suoi 5 miliardi di euro, il valore dell'export italiano di vino nel 2013 si consolida sempre di più e contribuisce sempre di più al fatturato delle aziende. Molte di esse hanno partecipato al “Wine2Wine” della Fiera di Verona, una due giorni conclusasi oggi focalizzato sul futuro dei mercati del vino e sull'opportunità per le nostre aziende all'estero. La crescita dell'export è la condizione necessaria per la vitalità del settore. Se infatti guardiamo al mercato interno, possiamo facilmente notare come questo si sia eroso negli anni. Secondo i dati di Wine Monitor, dal 2003 ad oggi il consumo di vino in Italia si è ridotto del 30%, in contrapposizione a una tendenziale crescita mondiale dei consumi. Se nel 1976 consumavamo 100 litri procapite annui, già nel 1986 questa quota era passato a quasi 70, per poi ridursi vent'anni dopo a 44 litri. Ancora peggiore il dato rilevato nel 2013, con 35 litri di vino procapite. In pratica in meno di quarant'anni gli italiani hanno ridotto i propri consumi di vino di circa un 65%. Ed ecco la necessità di guardare all'estero, ormai sempre di più. Fra i più apprezzati, per la categoria spumanti, è il Prosecco, che nel 2013 ha addirittura battuto per vendite lo Champagne, e tira così la volata dell'export italiano. Particolarmente apprezzati anche il Chianti, il Brunello e il Pinot Grigio negli Stati Unit, mentre in Russia, oltre al Chianti, vanno forte il Barolo e il Moscato d'Asti. Altri mercati fondamentali per noi sono la Germania e la Gran Bretagna, oltre a Canada e Giappone. Focalizzando però l'attenzione a livello strategico, l'Italia deve provare a sfondare su mercati già raggiunti ma ancora ben poco esplorati. Potenziarsi il più possibile in Russia, sfondare in Cina, provarci in Brasile e iniziare ad esplorare l'India. In poche parole, guardare ai Bric. Crescita della popolazione, crescita dell'economia, crescita dei redditi. Queste le tre condizioni che hanno caratterizzato questi quattro grandi paesi negli ultimi 15-20 anni, rendendoli i grandi protagonisti della globalizzazione. Quella globalizzazione che, in termini di posti di lavoro, investimenti e di centralità dei ruoli, ci ha tolto ben più di qualcosa, togliendo però dalla povertà tante persone nei paesi in via di sviluppo. Ora la stessa globalizzazione forse ci vuole restituire qualcosa. Per popolazione, consumi e trend le opportunità che offrono i Bric, al netto di tutti gli aspetti negativi, sono incredibili. E' vero che, come detto, le complicazioni ci sono. Per affrontare bisogna essere più strutturati, le aziende italiane devono puntare su aggregazioni e investimenti in logistica e promozione dei prodotti. Non è possibile avere venti promozioni diversi perchè ogni Regione italiana guarda per sé. Per sfondare in mercati così grandi è necessaria che la politica di promozione sia nazionale e che siano tutte le aziende, in sinergia con il Ministero dell'Agricoltura, a promuovere i propri vini di eccellenza. Non è un lavoro semplice, ma ne va del futuro di un settore che rappresenta una delle punte della qualità dei beni di consumo italiani. 

lunedì 3 novembre 2014

Export agroalimentare, chiave del rilancio dell'economia italiana

Il calcolo è molto semplice da fare. Siamo 7 miliardi di persone nel 2014, saremo 9 miliardi nel 2050 se saranno confermati i trend di crescita demografica. Per far fronte a questo importante aumento, l'agricoltura dovrà praticamente raddoppiare la sua produttività in termini di produzione. Una missione complicata, un obiettivo arduo, ma ambizioso. Il settore dell'agroalimentare, del food e di tutto l'indotto che gira attorno a esso sarà una delle chiavi dell'economia del futuro, e l'Italia non può permettersi di perdere le ghiotte occasioni che il settore può offrire di qui in futuro. Appuntamento fondamentale per il nostro paese sarà l'Expo di Milano del prossimo anno, vetrina fondamentale per il Made in Italy nel mondo. Un marchio da sfruttare al massimo. Stando ai dati di Federalimentare, il Food italiano esporta ogni anno 26 miliardi di euro. I principali mercati di sbocco per il nostro agroalimentare sono europei, con la Germania al primo posto, la Francia come secondo mercato di sbocco e l'Inghilterra al quarto posto. Sono piazze importanti da conservare e da accrescere, perchè tradizionalmente forti e rappresentanti di una rete di sbocchi sicuri. Ma c'è tutto un altro mondo da scoprire e da “annientare” a livello commerciale. La Cina è ovviamente il mercato più caldo. Nei prossimi anni l'export alimentare italiano oltre La Grande Muraglia potrebbe crescere intorno a un 11% annuo. Se pensiamo che l'import cinese di food è di 93 miliardi di dollari, le opportunità su questo lato sono giganti. Di recente sviluppo il mercato arabo degli Emirati, con l'Italia presente per circa un valore di oltre 120 milioni di euro. Qui le possibilità di export per le nostre aziende sono veramente lungimiranti: solo gli Emirati Arabi nel 2015 spenderanno in import alimentare oltre 5 miliardi di dollari, mentre tutto il gruppo di paesi relativa all'area del Golfo. importeranno prodotti alimentari esteri per oltre 50 miliardi di dollari nei prossimi anni. Dobbiamo investire in marketing agroalimentare per sfondare ancora di più in questi paesi. Rimane forte il mercato americano, terzo mercato a livello mondiale per l'export alimentare italiano, così come nondimeno il Giappone rimane uno sbocco di rilievo . E poi, i mercati emergenti, insieme a quello cinese. Russia, Brasile e Corea del Sud. Vino per i primi due, kiwi per il terzo. E chi ne ha più ne metta. Aumentare l'export significa dover produrre di più, e più produzione implica anche più occupazione. L'export agroalimentare è una delle chiavi di volta del rilancio dell'economia italiana.

giovedì 13 marzo 2014

Forse è #laSvoltabuona

Il progetto è sulla carta, decreti legislativi e attuativi non sono ancora stati predisposti, ma a mio avviso l'inizio convince. Convince fin dall'inizio, fin dall'arrivo del presidente del consiglio Matteo Renzi in conferenza stampa, con 32 slides a portata di mano per illustrare punto per punto il piano del governo. Un'idea innovativa, diretta e efficace, smart (termine un po' abusato). Legittimi sono alcuni nodi da sciogliere per quanto riguarda le coperture, secondo me punto fondamentale per far partire la discussione. 7 sono i miliardi dalla spending review secondo Renzi, 3 invece per il 2014 da parte del commissario Carlo Cottarelli, che ha comunque confermato le minori uscite anche per il 2015 e il 2016, anni in cui si potrebbero toccare riduzioni di spesa rispettivamente di 18 e 34 miliardi. In che modo? Innanzitutto una buona stretta su capi di gabinetto, auto blu, e stipendi dei dirigenti da allinearea al massimo con il compenso del Presidente della Repubblica, oltre al riordino organizzativo degli uffici di polizia, i minori trasferimenti alle imprese statali, e addirittura la soppressione di alcune sedi regionali della Rai (questa da verificare). Oltre a questo, per i prossimi anni, personalmente punterei ancora di più sulla riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni e l'immissione sul mercato di tutte le aziende partecipate pubbliche in perdite detenute ora dagli enti locali. Andando invece al sodo dei provvedimenti economici, essenziale è il progetto di aumentare le buste paga dei lavoratori dipendenti sotto i 25mila euro con circa 1000 euro netti all'anno. Costo 10 miliardi di euro. Qualcuno ha detto che sono una carità. Assolutamente falso. Mille euro netti all'anno in più equivale a dire una seconda tredicesima, non male per provare a rilanciare i consumi. Fare questo vuol dire aiutare indirettamente le imprese, che potrebbero vedersi aumentata anche solo di una leggera frazione la domanda interna. Ottima è poi tutto il pacchetto di novità sui contratti a tempo determinato e sull'apprendistato. Viene infatti elevato a 36 mesi il contratto a tempo determinato e l'eliminazione della pausa di dieci giorni tra un contratto a termine e l'altro. Eliminati poi alcuni vincoli sull'apprendistato in favore delle imprese, da controbilanciare con il futuro progetto del contratto unico di inserimento con tutele progressive. Sempre per il mondo dell'impresa, un taglio dell'Irap del 10% da finanziare con l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie può innescare il circolo virtuoso su chi ha voglia di fare impresa, puntando magari su nuove start up e progetti industriali più che investire esclusivamente a livello finanziario. Lo trovo un passaggio importante di maggiore equità. Ovviamente l'impatto in medio-lungo periodo potrebbe essere negativo sul fronte della raccolta di capitali, ma se si innesca positività dal punto di vista della minore tassazione dei profitti questo può risultare solo un problema marginale. Passando invece al rilancio dell'edilizia, trovo decisamente lungimirante il nuovo cambio di passo sull'edilizia scolastica con 3,5 miliardi di euro sbloccati, in grado di rimettere in sesto le scuole più disastrate e ridare lavoro ai costruttori. E pure il piano casa va in questa direzione. Merita invece più cautela lo sblocco del pagamento dei debiti delle PA verso le imprese. 68 miliardi da pagare entro luglio, come ha annunciato Renzi, sono una cifra enorme, se guardiamo alla lentezza burocratica del nostro sistema pubblico. Su questo punto conterà molto l'efficacia dell'accordo con le banche e la Cassa Depositi Prestiti. L'efficacia del provvedimento sarebbe straordinaria per le casse delle imprese, il compito più difficile per Renzi è quello di riuscire a superare anni di lungaggini e tempistiche infinite. Aspettiamo ora di vedere il piano del governo a forza di decreti in Parlamento. Se si riuscirà ad approvare, unitamente alla nuova legge elettorale già approvata alla Camera e alla più complicata approvazione dell'abolizione dell'attuale Senato, potrà essere veramente la Svolta Buona.