martedì 30 aprile 2013

Letta ai nastri di partenza, mercati fiduciosi



L'insediamento del governo Letta e il buon risultato dell'asta dei titoli di Stato, entrambi nella giornata di ieri, hanno iniettato una buona dose di fiducia ai mercati. Milano regina d'Europa alla chiusura di ieri pomeriggio, con un +2,2% molto positivo, dovuto anche all'ottima collocazione dei titoli di Stato: il Tesoro ha piazzato tre miliardi di Btp a 5 anni con un rendimento annuo del 2,85%, in diminuzione rispetto al 3,65% della scorsa asta, e altrettanti miliardi sui 10 anni, con un tasso del 3,94%, anche questo inferiore all'asta precedente che aveva registrato un rendimento del 4,66%. La domanda ha toccato però la quota di oltre otto miliardi, per questo c'è grande fiducia anche per le aste prossime. Notizie positive anche dallo spread, che è sceso a quota 275 rispetto ai 282 punti base di venerdì. L'euforismo sui mercati finanziari è certamente anche il prodotto del nuovo governo presieduto da Enrico Letta, che proprio in serata ha ottenuto il voto di fiducia alla Camera in larga maggioranza e l'opposizione unica di Movimento 5 Stelle, Sel e Fratelli d'Italia, e con il voto al Senato in programma per oggi. Di buon auspicio anche le parole del neo presidente del consiglio Letta nel suo discorso di presentazione a Montecitorio, anche se certamente il programma appare molto ambizioso. Si va da una netta riforma della politica, con l'abolizione delle province, il taglio dei costi centrali  e l'abolizione del finanziamento pubblico, fino ad arrivare a misure espansive come lo stop dell'Imu sulla prima casa a giugno e la revisione dell'Iva, oltre alla risoluzione del problema degli esodati. Un altro e, a mio avviso fondamentale obiettivo proposto da Letta è la rivisitazione della legge Fornero sul mercato del lavoro. C'è bisogno di lavoro, anche con contratti a termine. L'idea è quella di favorire una forte flessibilità in entrata, non disincentivando in toto i contratti a tempo determinato, in modo da favorire le imprese nel breve periodo. Sul medio-lungo si cercherà di stabilizzare maggiormente i rapporti di lavoro, con incentivi all'assunzione di giovani e di neolaureati. Snellimento della burocrazia e investimenti nell'edilizia scolastica gli ultimi due punti di un programma ambizioso. L'unico neo è la non indicazione sulla copertura finanziaria per le misure immediate di politica economica. L'indicazione, dalla nostra parte, è sempre quella: tagli alla spesa pubblica improduttiva, vendita delle quote nelle aziende partecipate utilizzate solo come poltronificio per i politici locali trombati, e infine la dismissione del patrimonio pubblico non vincolato. In 18 mesi, come indicato dal premier Letta, non sarà facile fare tutto. Anzi,     le pressioni politiche della maggioranza saranno l'ago della bilancio per il governo. Se il governo di responsabilità riuscirà nelle sue intenzioni, allora l'Italia potrà finalmente uscire dallo stallo politico ed economico. Diversamente, i maggiori partiti dovranno assumersi la responsabilità di un altro fallimento.

venerdì 19 aprile 2013

Il suicidio del Pd, un nuovo 1998

E' iniziata male ed è finita peggio, con un revival del 1998, dalla gogna di Marini, passando per il siluramento di Prodi, fino alle dimissioni di Bersani. Tutto è partito con la scellerata decisione di optare come prima candidatura al Colle Franco Marini, poi rispedito al mittente, in cambio del governissimo con il Pdl. Successivamente, si è passati alla fase del suicidio politico, con 101 franchi tiratori, tutti interni al Pd, che hanno preferito frantumare un partito già a pezzi dalla batosta di giovedì, non votando il nome di Romano Prodi. Così si può riassumere la due giorni nera del Partito Democratico, e della sua dirigenza. Se per molti analisti e semplici elettori, giovedì è stata una giornata da dimenticare in fretta, ieri si è parlato di colpo di grazia per il Pd, chiusasi con le dimissioni da segretario di Pierluigi Bersani e della presidente del partito Rosy Bindi, che saranno formalizzate dopo l'elezione per il Quirinale. Non poteva essere altrimenti. Bersani, in linea con tutta la dirigenza, si è presa inizialmente la grande responsabilità di candidare Marini, spaccando già in un primo momento il partito fra i fedeli e dissidenti, primi fra tutti i renziani, che hanno optato per Chiamparino. Bocciato Marini, il Pd ha riprovato a tessere la propria tela convergendo ieri mattina sul padre del centrosinistra, Romano Prodi, nome acclamato all'unanimità nell'assemblea di ieri mattina e molto favorevole per Renzi. Al pomeriggio, la Caporetto del centrosinistra. Dalle urne dello scrutinio segreto i voti per Prodi sono 101 in meno rispetto alle aspettative, considerando il Pd compatto. “Uno su quattro di noi ha tradito”, questo il commento molto diretto di Bersani. La ribattezzata carica dei 101 è tutta interna al Partito Democratico, e non è difficile intuirne la provenienza. L'ombra dell'area dalemiana, riscontrata anche nei voti raccolti dal leader Maximo, si fa sempre più consistente, e la mente non può non ritornare a quindici anni fa, quando Prodi e l'esperienza dell'Ulivo furono affossati dall'inciucio che portò poi D'Alema alla presidenza del consiglio. In quindici anni non è cambiato niente. Anzi, qualcosa forse si. Ora il Pd è alle macerie, lo sanno bene anche una parte dei giovani turchi, ed è necessario ripartire anche sacrificando i propri beniamini di segreteria. L'ombra di D'Alema come nome per il Colle resta, anche se paiono molto più favorite due figure di grande profilo come Stefano Rodotà, sostenuto dai grillini e da alcuni tiratori franchi del centrosinistra, e Anna Maria Cancellieri, proposta da Scelta Civica, sulla quale potrebbe convergere i voti di Pdl e Lega. Insomma, con la maggioranza assoluta alla Camera, e quella relativa al Senato, il Pd non andrà ad eleggere un presidente presente nella rosa dei propri candidati. Ennesima sconfitta per un partito che ora come non mai ha bisogno di ripartire. A Firenze sono avvisati.

domenica 14 aprile 2013

Futuredem, speranza e futuro del Partito Democratico

Una settimana fa mi è arrivato un tweet di un amico, Mattia, conosciuto nei mesi scorso mentre seguivo a livello giornalistico e personale passione la campagna di Matteo Renzi per le primarie del centrosinistra. Mi invitava a partecipare da cronista al primo incontro nazionale di un nuovo gruppo di giovani appassionati alla politica, chi tesserato, chi simpatizzante del Pd, tutti però con la voglia di cambiare e rivoluzionare un partito fermo. Mi è sembrata una bella idea, e un'opportunità per la mia penna di poter scrivere qualcosa di nuovo da osservatore esterno, su un gruppo attivo, vivace e dinamico. E' il gruppo Futuredem, come l'hashtag che girava e che tuttora si trova su Twitter. L'idea, nata appunto sul social network, ha visto ieri a Firenze la sua benedizione iniziale, con una trentina di giovani provenienti da tutta Italia. Un numero molto esiguo rispetto ai molti più interessati al progetto, che, come già detto, punta a portare una ventata di novità all'interno della base giovanile, fin troppo chiusa, nella quale l'autoreferenzialità dei pochi mette in discussione una forte partecipazione. Tesserati, giovani democratici, simpatizzanti, semplici elettorali. Un'eterogeneità che non si ferma solo alla forma ma pure all'idea su leader e programmi. Non vogliono farsi codificare come Renzi Boys, anche se la componente renziana all'interno del gruppo è molto forte. D'altronde, inutile dirlo, Matteo Renzi incarna probabilmente l'unica vera possibilità di cambiamento per il Pd, visto anche il flop elettorale del partito targato Pierluigi Bersani. Le storie di questi giovani, specialmente liceali, universitari, ma non solo, si intrecciano con quelle dei  propri coetanei, sulla quale il nostro paese scommette sempre meno. Da qui, il gruppo Futurdem, per cercare di cambiare le cose. Nel pomeriggio i ragazzi si sono divisi in tre gruppi di lavoro, discutendo su organizzazione, programmi e potenzialità da sviluppare a livello comunicativo. L'obiettivo principale di Futuredem è quello di costituire una vera e propria associazione, più liberal rispetto ai Gd. "I margini per cambiare le cose ci sono - ammettono dal gruppo - però la lotta deve essere interna. La scissione non ha senso, il Pd per vincere deve essere forte e unito, ma con struttura, idee e volti completamente rinnovati". A livello comunicativo, sarà importante per questi ragazzi, una presenza folta nei social network, cercando di coinvolgere il maggiore numero di giovani possibile, anche tramite una summer school di politica pensata per il periodo estivo.  Interessanti gli spunti relativi alle piattaforme programmatiche: la parola meritocrazia rievoca quella parola merito, più volte citata da Renzi nella campagna per le primarie. Trasparenza in tutti i settori, dal settore pubblico a quello privato, fino ai contenuti e al linguaggio espressi dalla futura classe dirigente. A livello economico, infine, base per far ripartire il paese è fare di tutto perchè sia incentivato l'ingresso di nuovi talenti e l'imprenditoria giovanile. Facendola breve, questi ragazzi di Futuredem possono probabilmente rappresentare una nuova iniezione di forze fresche per il Partito Democratico del futuro.