giovedì 13 dicembre 2012

Crisi immobiliare, hanno scoperto l'acqua calda

Su tutti i telegiornali qualche giorno fa sono andati in onda servizi giornalistici, alcuni dei quali copia e incolla, riguardo la crisi immobiliare in Italia, causata da una forte diminuzione delle vendite e dalla conseguente forte riduzione del livello dei prezzi delle case. Soldi chiaramente ce ne sono meno nelle tasche degli italiani, e nonostante gli analisti ritengano il mattone ancora un investimento sicuro, il settore sta andando completamente a picco. Il problema è che in molti si sono meravigliati per questa tendenza. Ma meravigliati di cosa? Molte economie avanzate hanno basato per anni il proprio piano di crescita economica su una forte incremento del settore immobiliare. E' successo negli Stati Uniti, dove una politica di concessione di mutui facili ha di fatto ingrassato tutto il sistema, con il risultato della cosiddetta bolla speculativa, e di un bel gruzzolo di case invendute. Case invendute viste poi dappertutto, in Italia ora, ma non solo. Una delle cause principali della recessione spagnola, oltre al forte contagio a livello finanziario, è sicuramente il problema alla base di aver creduto un po' troppo che una crescita basata sull'edilizia potesse essere sana per il paese iberico. Un risultato di questa scelta strategica sbagliata sono i prezzi irrisori della case spagnole. Un esempio sono le belle villette andaluse a Siviglia, dove bastano meno di ventimila euro per accaparrarsene una. Anche noi italiani non abbiamo certamente fatto politiche lungimiranti, prima con il fantomatico "piano casa" dell'ultimo governo Berlusconi, e poi uno dei tanti piani per la crescita del Governo Monti dove si drogava un po' il mercato grazie a un po' di risorse stanziate per incentivare l'edilizia. Una boccata d'ossigeno, certo, ma forse non è il modo migliore per aiutare l'economie. Se avessimo utilizzato tutte le risorse a nostra disposizione per rilanciare interamente l'economia, magari migliorando la burocrazia e alleggerendo il peso fiscale su lavoratori e aziende, forse anche il settore dell'edilizia ne avrebbe giovato indirettamente. Detto questo, il mattone continua e continuerà a essere certamente una sicurezza materiale importante a livello di investimento, anche se, con le prospettive del mercato individuale, non c'è da stare proprio sereni.

mercoledì 8 agosto 2012

Spending review, un piccolo passo

La strada è quella giusta, anche se i numeri sono totalmente insufficienti. Finalmente il Governo Monti, dopo una prima fase di ferro e fuoco, con una manovra Salva-Italia che ci ha salvato inasprendo la tassazione sul mondo produttivo e famigliare, ha dato avvio con il decreto di ieri a un primo riordino della spesa pubblica statale. Ciò che è stato fatto, lo è stato nonostante le enormi pressioni politiche di partiti che prima invocano tutti una rigorosa razionalizzazione della spesa, e poi fanno a gara in Parlamento per salvare ordini professionali, province, consulenti, aziende partecipate inefficienti, agenzie pubbliche mangiasoldi e tutta la galassia di una burocrazia, vero cancro del paese. Un esempio chiaro, come detto, sono le province. Si è partiti da una abolizione totale negli annunci, passando poi per una "razionalizzazione", fino a un semplice riordino. Il risultato è che una sessantina di queste sono state abolite, salvandone una quarantina. Un esempio molto semplice di come vanno le cose da noi. Alla fine i risparmi ci sono, per carità, però sono solo decimali di quello che veramente la spesa pubblica in Italia rappresenta. La questione centrale è un'altra. La spending review non è stata concepita come una prima operazione di una più ampia riduzione dell'enorme fardello, ma semplicemente per non aumentare l'Iva al 23%, salvare qualche esodato in più e aiutare i terremotati. Tre motivi fondamentali e necessari da affrontare, ma che non possono non oscurare il fatto che la nostra spesa statale debba essere tagliata nonostante questi provvedimenti. 800 miliardi di spesa annuale non ce li possiamo più permettere, in un periodo in cui paghiamo 70-80 miliardi di interessi su un debito di oltre 1900 miliardi di euro. La riduzione della spesa pubblica deve essere ben più forte, di almeno 7-8 punti percentuali all'anno, spostando quei risparmi su un taglio delle tasse su imprese e famiglie. Questo, affiancandolo a un grande piano di privatizzazioni demaniali, almeno 500 miliardi di euro, per l'abbattimento del debito pubblico, potrebbe essere un punto di ripartenza per il nostro paese. Da questi due provvedimenti si deve riniziare.

venerdì 25 maggio 2012

I vecchi e i nuovi

Se tutte le voci dovessero essere confermate, l'offerta politica italiana alle elezioni del 2013 sarà molto variegata. Attenzione, variegata. Non qualificata. Per carità, ognuno è libero di presentarsi come vuole e con il programma che vuole, ma il caos regna totale. Da una parte un centrodestra ormai cotto, bisognoso più di una nascita nuova che di una rifondazione. Le amministrative lo hanno dimostrato chiaramente, la Lega ha pagato lo scandalo dei rimborsi elettorali, mentre sul Pdl pesa come un macigno tre anni di governo dove non è stato fatto nulla di ciò che era stato promesso nel 2008. A sinistra probabilmente sarà riproposta la foto di Vasto, senza primarie, con l'allenza Bersani-Vendola-Di Pietro, che in teoria potrebbe avere anche i numeri per vincere. E fra i due schieramenti? Sicuramente il Terzo Polo, che potrebbe riconfermare un risultato onorevole, senza però contare nulla ai fini di governo. E poi? La politica italiana non si ferma qui, ma Grillo, Montezemolo e Renzi potrebbe essere i tre nuovi. Il movimento 5 stelle si aprirebbe alla prima partecipazione a livello nazionale, e con i numeri attuali, potrebbe addirittura aspirare a entrare in Senato. Per Montezemolo, la sua Italia Futura raccoglierebbe già il 20% dei consensi, con il 53% di gradimento per l'ex presidente di Confindustria. Il centrodestra sta alla finestra del nuovo movimento, ma i “nuovi” hanno già fatto intendere di non volere allearsi con nessuno. E poi alla fine c'è Matteo Renzi, l'outsider del Pd. Se le primarie non si dovessero veramente fare, facendo toccare al Partito Democratico il limite dello scandalo, allora il sindaco di Firenze scenderà in campo, con l'esercito di giovani e sindaci Pd pronti ad affiancarlo.Se non addirittura, insieme, Renzi e Montezemolo, per un'Italia nuova.

giovedì 24 maggio 2012

L'Italia non deve piegarsi

Con questa classe politica, almeno quella vista finora, è chiaro a tutti che non si va molto lontano. Ma l'Italia lo sa bene, ha mille risorse da cui può attingere, per ripartire. Enormi e numerosi sarebbero i provvedimenti da prendere per far ripartire questo paese, che, se continua di questo passo, rischia veramente di veder bruciate intere generazioni. Provate a immaginare i giovani italiani che emigrano all'estero. Ah scusate, non c'è bisogno di immaginarselo. Il fenomeno c'è già, ed è molto toccante. Le risorse ci sono e sono loro, i giovani. Rimetterli al centro dell'attenzione sarebbe già un importante passo per rilanciare il paese. Varie le modalità. Nel mondo del lavoro appare lampante la necessità di un vero e proprio contratto di apprendistato, senza varianti o derive precarie, salvaguardando però la flessibilità. Sul fronte dell'istruzione, bisogna lavorare parecchio. Mettiamo mano all'università. Non basta solo fare più ricerca, ma bisogna confrontarsi anche sulla qualità dei progetti. I cervelli li abbiamo anche noi, anzi i nostri forse sono tra i migliori del mondo. Un po' di coraggio. Possono sembrare parole, e lo sono, ma università e ingresso nel mondo del lavoro sono due capisaldi per far ripartire l'Italia, all'insegna della linea verde.

domenica 22 aprile 2012

I nodi della politica

Regna il caos all'interno dello scacchiere politico. Casini, l'eterno ragazzo della politica, in Parlamento dal '83, azzera la "sua" Udc, per puntare a un unione fra tecnici e politici che ha, come dire, un po' il sapore di Prima Repubblica. Unire tecnici e politici non sarà cosa facile. Il leader "democristiano" punta ai popolari e ai moderati, ma l'operazione frutta una minestra riscaldata. Sono sempre loro, le facce non cambiano mai, di giovani non se vede neppure l'ombra. Il "Partito della Nazione", così sembra, è ormai ai cancelli di partenza: cambia il nome, ma l'ossatura è quella, anzi l'incrostazione è quella. Passando a sinistra, c'è un Partito Democratico diviso su diverse tematiche, che guarda a Sel e Idv come principali alleati. Le primarie sono un'utopia? Probabilmente si. E a destra, se così si può chiamare? La Lega è sulla via della resurrezione dopo lo scandalo interno relativo ai finanziamenti, mentre il Pdl sta cercando di capire se è legittimo considerare Alfano un serio leader di partito. D'altronde, il Popolo della Libertà è chiaramente ancora orfano di Berlusconi, che dirige da dietro come leader silenzioso, ed è forse questo il vero rebus del partito-azienda. Non godere più delle parole del suo capo carismatico tutte le mattine sulle prime pagine dei giornali può essere un colpo pesante. La mancanza di queste parole può essere ancora più pesante della mancata realizzazione dell'agenda di governo quando il Pdl stava a Palazzo Chigi.

venerdì 6 aprile 2012

Vent'anni buttati


Delle poche cose che ho capito di questo ultimo periodo della politica italiana, uno è certo. I politici, la lezione, non l'hanno capita, e nulla è cambiato rispetto a vent'anni fa. Anzi, forse la situazione è probabilmente peggiorata. Dopo il caso Lusi interno al Partito Democratico, ora lo scandalo della Lega. Soldi ai partiti usati non per attività politica, ma per lo sfarzo e il benessere personale di qualche dirigente. E lo scandalo, a mio avviso, non sta tanto sul come sia stati spesi questi soldi. Il vero problema è che la Lega non è indagata per l'uso disparato di quei denari pubblici, ma solamente perchè non avrebbe iscritto, secondo l'accuso, quei soldi a bilancio. Il problema è la legge, oltre che delle teste. Fatta male, o meglio, fatta apposta per questa classe di politici, che ormai hanno mangiato a sbaffo, lasciando il conto da pagare ai cittadini onesti che in questi anni hanno sostenuto uno Stato pesante e sempre affamato di denaro. In vent'anni non siamo stati in grado di cambiare un bel nulla, se non nella pressione fiscale, sempre più alta, nella spesa pubblica, sempre più alta, e nel debito pubblico, sempre più alto. Il paese reale però è stanco.

mercoledì 14 marzo 2012

Precari e flessibili

E' notizia di pochi giorni fa che la maggiori case automobilistiche tedesche assegneranno ai propri dipendenti succosi premi di produzione per l'anno record 2011. Tutti marchi che fanno capo al gruppo Wolkswagen. La casa madre di Wolfsburg girerà ai propri dipendenti un premio da 7500 euro; l'Audi, il marchio di fascia più alta, pagherà un bonus di 8251 euro, mentre per i lavoratori della Porschè la cifra sarà di 7600. Vanno bene lo cose anche per l'altro grande gruppo tedesco, la Daimler, che produce Mercedes e Smart, distribuirà premi per 4100 euro a testa. Questo è il quadro, e per una volta si può tirare un sospiro di sollievo, sapendo che i premi saranno pagati a impiegati e operai, e non ai grandi banchieri del modello Wall Street. Ora bisogna fare una riflessione. Perchè in Germania si e in Italia no? In Germania le macchine prodotte saranno forse migliori, migliore sarà anche l'affidabilità, e su questo forse non c'è molto da dire. E' necessario focalizzare l'attenzione sul metodo di lavoro, togliendola un po' al settore automobilistico. Partendo da un discorso generale, è la produttività e l'efficienza che portano ai risultati tedeschi. La Germania ha in proporzione, più o meno, i nostri stessi precari che lavorano con contratto a tempo determinato. In Italia la chiamiamo precarietà, mentre in Germania è vista come flessibilità. La chiamano così perchè vi è una rete di protezione sociale, c'è la possibilità di rientro immediato nel mercato del lavoro e soprattutto le buste paghe sono più robuste. L’Italia è a un punto di svolta: entro la prossima settimana si dovrebbe chiudere il tavolo sulla riforma del lavoro fra governo, sindacati e Confindustria. Saranno pure i padroncini dell’Europa fieri di loro, ma per una volta prendiamo come esempio i tedeschi. La priorità è aumentare lo stipendio ai precari, lasciandoli anche precari se necessario anche per un tot di mesi, ma garantendogli una rete di protezione nel caso di crisi aziendale. E’ uno dei pochi modo per trasformare gradualmente la precarietà in flessibilità, condizione necessaria per far tornare gli stranieri a investire nel BelPaese.

giovedì 26 gennaio 2012

Wage or Job Competition?

In questo ultimo mese ho preparato l'esame di economia del lavoro, il terz'ultimo prima del conseguimento della laurea triennale in economia dei mercati. Durante la preparazione ho studiato con attenzione interi capitoli sui modelli macroeconomici relativi al mercato del lavoro, principalmente su sindacati e contrattazione salariale. Sul mercato esistono due forme di reclutamento del personale lavorativo, la wage competition e la job competition, quest'ultima molto più frequente della prima. Nella “wage” i lavoratori competono sui salari, e chi offre all'imprenditore una busta paga più leggera, è assunto, mentre la “job” prevede una competizione in base ai titoli di studio e alle qualità individuali del singolo lavoratore. Neanche a dirlo, la job è la forma di selezione più utilizzata e forse ritenuta anche più etica. Ma è proprio così nella realtà attualissima? Sinceramente a me non sembra. La globalizzazione ha ormai rimescolato tutte le carte in tavole. Quando in un primo momento la richiesta sul mercato del prodotto era esigente, si ricercava sempre qualità e specializzazione, caratteristica della job competition. La delocalizzazione nei paesi in via di sviluppo ha inesorabilmente spostato l’asse verso la wage competition. I nostri lavoratori, soprattutto i nostri operai, che, per rimanere sul mercato del lavoro, sono obbligati a specializzarsi sempre di più, competono ogni giorni per non farsi spazzare via dalla manodopera a basso costo. La normalità, per chi conosce la globalizzazione. Un po’ meno per chi ha faticato anni per specializzarsi e aumentare la qualità del proprio lavoro, e si viene visto scavalcare da qualche sfruttato lavoratore cinese o indiano.

mercoledì 11 gennaio 2012

Asia - Europa 1-0

 
Il 2011 sarà ricordato per la grave crisi economica, per lo spread, per i titoli spazzatura, per l'uscita di scena di Berlusconi in Italia, e per migliaia di altri avvenimenti. Ce né uno in particolare, però, che regala gioia e amnesia. Lo scorso 31 ottobre, in India è nato il settimo miliardesimo abitante del pianeta. La popolazione cresce e crescerà ancora, tanto che nel 2050 si stima possa raggiungere i nove miliardi. Una cifra da capogiro se pensiamo che, entro questa data, gli agricoltori dovranno aumentare del 70% la produzione per far fronte alla domanda in costante espansione. D'altra parte però le superfici agricole rimangono ferme, se non addirittura diminuiscono. Motivo che ha spinto da qualche anno a questa parte grandi paesi a fare shopping nelle aree più povere del mondo. Cinesi, coreani e indiani dal 2008 in poi fino ad oggi si sono scatenati in Africa e nel Sud America. Il dragone ha letteralmente messo le mani sui terreni agricoli mondiali. Le grandi società agroalimentari cinesi, spinte dal governo, hanno goduto del sostegno finanziario e diplomatico di Pechino, ed ora controllano alcuni milioni di ettari nel mondo. Tutto questo è accaduto e accade mentre in Europa, negli ultimi decenni, i terreni coltivabili sono diminuiti del 26%. Se in un tempo non troppo lontano noi europei primeggiavamo almeno dal punto di vista agricolo, ora senza alcun dubbio abbiamo dovuto cedere lo scettro agli asiatici. Competere con loro sarà quasi impossibile.

martedì 10 gennaio 2012

Dieci, Cento, Mille Cortina

La Regina delle dolomiti sotto assedio. Controlli ad Abano Terme. Sono piccoli segnali, altro che Stato di polizia tributaria. Sono sempre dalla parte del libero mercato e contro la pesante burocrazia statale, ma i controlli antievasione sono sacrosanti. Ce ne fossero sempre, ogni giorno. Non è questione di Stato di polizia o meno. Viviamo in un paese che si porta ogni anno sulle spalle un fardello da 200 miliardi di evasione fiscale, euro più euro meno. Con questi soldi potremo non solo ridurre il debito pubblico, ma garantire servizi migliori ai cittadini, tagliare la pressione fiscale ormai arrivata a livelli imbarazzanti e svecchiare una burocrazia opprimente che risulta essere la vera palla al piede delle nostre imprese. Freghiamocene delle lacrime di coccodrillo, dei piagnistei di chi vive sulle spalle degli onesti, facciamo pagare a tutti tutto.