lunedì 28 marzo 2011

Ma dov'è l'Europa?

Sembra sparita, volatilizzata nel nulla. Dov'è l'Europa tanto osannata, la magica istituzione sovranazionale che era nata per favorire, per migliorare, per crescere, e ora si sta rivelando un clamoroso fiasco? O meglio, esiste un'Europa per tutti, oppure solo per qualche nazione guida? La latitanza Ue nel contesto della guerra libica ha i contorni dell'incredibile. In principio si è mossa completamente disunita; Francia e Inghilterra hanno riscoperto nell'album di famiglia il loro passato da potenze colonizzatrici, si sono gettate all'arrembaggio della Libia: sotto sotto il petrolio fa ancora comodo in tempi difficili per l'energia nucleare. La Germania, di conseguenza, si è ritirata subito dallo scacchiere, a mio avviso molto intelligentemente, seppur non sia brillata per coraggio e spirito di unione. L'Italia è corsa dietro alle prime due, da una parte per non contrastare il "volere" europeo (mai spiegato dai vertici continentali), dall'altra forse dimenticandosi della sua posizione strategica per i migliaia di rifugiati. Tuttavia è probabilmente certo che, anche se non fossimo entrati in guerra, avremmo dovuto affrontare una crisi umanitaria di queste proporzioni. Proprio in questa fase l'Europa manca all'appello per la seconda volta in questa vicenda. Dov'è il suo sostegno, dov'è il suo appoggio? Lo cercherete invano. L'Italia paga le tasse e non obietta mai alle normative europee, che per legge prevalgono sull'ordinamento nazionale. Ora però anche noi chiediamo qualcosa in cambio. Qualcosa di dovuto, qualcosa che ci spetta.

mercoledì 23 marzo 2011

Università: il vero problema è l'eccesso d'offerta

E' da tempo che si dice di fare, fare e fare, e poi non si combina mai niente, per un'università migliore. Ho sentito tante parole in questi anni, tante bozze di riforme universitarie agitate da qualsiasi schieramento politico, per poi non produrre nulla. Bisogna partire da un presupposto: la migliore università non è quella che produce il maggiore numero di laureati, ma quella che fa trovare al maggior numero di laureati un buon posto di lavoro. Vedete, negli anni 50-60', con la ripresa economica nel dopoguerra, giustamente si sono aperte per tutti le porte dell'università, tentando il più possibile di farvi accedere la maggior parte degli studenti. Questo perchè c'era un mondo del lavoro che sorreggeva l'elevato numero di laureati prodotti. Bene o male, quasi tutti riuscivano a trovare un'occupazione. Aziende che aprivano, nuove personalità che venivano ricercate, giornali ed editori che assumevano, persino i filosofi trovavano lavoro. Ora, purtroppo, questa gallina dalle uova d'oro non esiste più. Quella macchina che assumeva, assorbiva e acquisiva sempre più personale ormai si è spenta. Sempre meno posti, malpagati e poco sicuri contrattualmente. Questo non solo per colpa delle varie crisi economiche e politiche susseguitesi nel corso degli anni: anche l'università ha la sua dose di responsabilità. Non me ne vogliano le giovani generazioni, di cui io faccio orgogliosamente parte, ma a me sembra che questa politica che molti (non tutti) gli atenei prediligono, ovvero i corsi aperti, sia fallimentare. L'anno scorso, anno accademico in cui io mi sono iscritto all'università, la facoltà di Scienze Politiche di Bologna, dove io studio, ha visto un numero di iscritti del corso non meno inferiore alle duecento unità. Decina più, decina meno. Ammettiamo che questi studenti siano tutti bravissimi e che si laureino tutti in tempo fra due anni. Ammettiamo pure che vogliano tutti andare a lavorare, non continuando il percorso di studi. Cosa fanno? Niente, un bel niente, perchè Bologna e l'Emilia Romagna intera avrà bisogno massimo di 10-20 sociologi l'anno a dir tanto. Naturalmente ho preso il caso più eloquente, ovvero un corso di laurea che non ti garantisce le stesse opportunità che ti offre un corso di Ingegneria o di Medicina. Ma la musica non cambia passando in qualsiasi altra facoltà. E' un periodo che va così, a dir la verità è un periodo che si sta allungando un po' troppo. I posti di lavoro sono pochini pochini, e noi tutti, ragazzi, siamo in troppi. Il numero chiuso applicato a tutti i corsi di laurea di tutte le facoltà potrebbe essere un prima soluzione per tamponare quanto meno il problema. Ovviamente non è l'unica, ma potrebbe aiutare già a smuovere qualcosa.

sabato 12 marzo 2011

Rialzati Giappone

E' incredibile quanto l'uomo possa essere veramente piccolo e impotente al cospetto di madre Natura. Le scene di morte, distruzione e disperazione in Giappone di fronte alla potenza del terremoto prima, e del maremoto poi, sono l'immagine che forse, anche le tecnologie più avanzate, possono veramente poco contro la forza della natura. Una potenza sprigionata migliaia di volte più forte del terremoto a L'Aquila. I giapponesi, si sa, sono preparati a questo tipo di incoveniente; abitano un arcipelago vulcanico, convivono quotidianamente con la paura, che per loro ormai è diventata consuetudine. Ma mai avrebbero pensato a un disastro del genere. L'uomo, questa volta, non ha potuto nulla. Tocchiamoci gli attributi. I Maya non possono avere ragione.