martedì 11 gennaio 2011

A Mirafiori ci vuole un si

Andate a raschiare sul fondo del barile del mondo delle imprese e trovatemi un azienda che non sia la Fiat che voglia investire 700 milioni di euro in Italia. La cercherete invano. Certo, andando ad analizzare quello che si chiede ai lavoratori bisogna riflettere sull'accordo: la riduzione delle pause, lo spostamento del pranzo a fine turno, la possibilità di fare straordinari, certo sono sicuramente condizioni a vantaggio dell'azienda e solamente per alcuni apparentemente negativi per i lavoratori. Quest'ultimi infatti potranno scegliere se fare straordinari o no, potranno decidere se lavorare di più o no: chi lavorerà di più e chi lavorerà di notte sarà pagato di più. Il mercato si è voluto, si è ammodernizzato, e l'Italia per anni è rimasta a guardare, mentre in Francia e Germania si ristrutturavano i sistemi di lavoro e gli impianti. E non in Cina, dove è chiaro che i diritti dei lavoratori sono totalmente lesi. L'industria italiana deve ripartire dal recupero della competitività, legando gli aumenti salariali all'aumento della produttività, e lasciando da parte le vecchie ideologie, le quali non hanno giovato la presenza italiana sui mercati internazionali. Se si va contro votando no, l'azienda risponde picche e si perde l'investimento. Se si perde l'investimento Torino perde la Fiat e Mirafiori. Si brucerebbero 12000 posti di lavoro nel comprensorio di Mirafiori più l'indotto, oltre a un pezzo di storia, la storia dell'industria del nostro paese, la storia del fenomeno migratorio interno negli 40-50, la storia della Fiat come icona nazionale simbolo del boom economico del Dopoguerra. L'accordo sa da fare. Assolutamente.

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