Può succedere che un paese possa
essere censurato da un'istituzione di cui fa parte, sostanzialmente
per la non-trasparenza delle proprie comunicazioni? La risposta è
si, quel paese è l'Argentina e l'istituzione è il Fondo Monetario
Internazionale. In 69 anni di storia, dagli accordi di Bretton Woods
post seconda guerra mondiale non era mai successa una situazione del
genere. Per intenderci , e per chi non lo sapesse, l'Fmi è
quell'istituzione economica che lo scorso anno ha prestato 30
miliardi di dollari alla Grecia, salvandola di fatto insieme agli
aiuti europei. Ma l'Fmi è anche quella dei 21,6 miliardi di dollari
dati alla stessa Argentina nel 2001, l'anno del default. Bisogna
infatti tornare a proprio quel dicembre di oltre undici anni fa per
capire dieci anni di una ripresa economica argentina, a tratti poco
chiara e per certi versi instabile. Ma prima ancora, a oltre
vent'anni fa. Si parte infatti ad inizio negli anni '90 con una forte
lotta all'inflazione, voluta dal ministro del Tesoro Domingo Cavallo,
che nel 1991 fissò il cambio a 10mila austral equivalenti a un
dollaro (l'austral fu la prima moneta argentina a non chiamarsi
peso). Il Banco Central mantenne copiose riserve in dollari nelle
proprie casse per assicurare la convertibilità, e fa si che vi fosse
l'accettazione della moneta. Poco tempo dopo venne promulgata la “Ley
de Convertibilidad”, che reintrodusse il peso, con un tasso di
cambio fisso. Ma il debito pubblico cresceva rapidamente, di pari
passo con evasione fiscale, corruzione e spesa pubblica. Nel '99 il
presidente De la Rua, dopo aver vinto le elezioni, si trovò a fare i
conti con un paese praticamente allo sbando, già di fatto in
recessione e a forti mancanze di liquidità, e di conseguenza con
l'ormai forte sfiducia degli investitori stranieri. Arriviamo così
all'anno zero, il 2001, con il “bank runs”, tecnicamente la corsa
agli sportelli dei correntisti argentini, che constrinse il governo
argentino ad adottare il cosidetto “corralito”, ovvero il divieto
di prelevare soldi dal proprio conto, se non per piccole somme, con
la conseguente protesta popolare. Il governo, guidato ad interim da
Rodriguez Saà, a pochi giorni dal nuovo anno, dichiarò lo stato di
default per la grande parte del proprio ammontare di debito, oltre
130 miliardi di dollari. Di li a poco ci fu una forte crisi
nell'economia reale, che si riprese solo dal 2003 in poi, con
l'avvento del nuovo presidente Nestor Kirchner. A livello
finanziario, per ristrutturare il debito, si trovò un accordo con
gli investitori solo nel 2005, che prevedeva il rimpiazzo di buona
parte dei titoli oggetto di default con altri per un valore nominale
inferiore del 30%. Nel 2008 la neo presidentessa Cristina Fernandez
de Kirchner annunciò l'ulteriore negoziazione dell'ultima parte di
debito, così da poter estinguere del tutto il default nei confronti
dei privati. Oltre a questo è stato ripagato interamente l'ammontare
di debito con il Fondo Monetario. E allora dove sta il problema? Per
i 24 membri del direttivo riuniti a Washington due giorni fa che
hanno votato una dichiarazione formale di censura per lo Stato
Argentina, manca qualcosa di essenziale. Si potrebbe andare infatti
incontro a una rapida procedura d'espulsione, per l'inaccuratezza dei
propri dati economici. In soldoni, secondo l'Fmi, Buenos Aires è
inattendibile sulle proprie statistiche. L'economia argentina, con la
ripresa post default, è la diventata la seconda del Sudamerica dopo
il Brasile, ma è ancora minata dall'inflazione. Per il governo il
tasso ufficiale è al 10,8%, mentre secondo alcuni analisti quella
reale tocca il 25%. Anche il tasso di cambio non gode di grande
trasparenza; per il Banco Central il rapporto con il dollaro è di
4,9 peso per uno. Ma potrebbe essere molto più elevato, fino a sette
a uno, con una forte conseguente svalutazione. La situazione è molto
incerta. Di certo c'è solamente una data, il 29 settembre, giorno in
cui il governo argentino dovrà rendere conto davanti al Fmi dei
progressi alle basi della propria economia, a questo punto forse un
po' meno solida di quello che si pensava.
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