Ogni giorno, da ormai un mese a questa
parte, apriamo i giornali, guardiamo i tg, ascoltiamo le radio, e
naturalmente si parla di campagna elettorale. Un ritornello che si
ripeterà ancora per una ventina di giorni abbondanti, senza
esclusione di colpi, da una parte e dall'altra. Su tutti rimbalza
alle nostre orecchie la questione della tassazione, le più
esilaranti promesse sull'Imu, fino agli ultimi più recenti casi di
sprechi nei fondi regionali ai partiti e allo scandalo derivati in
Montepaschi. Tasse, corruzione, banche, finanza malata. Si parla di
tutto, ma a mio avviso ci siamo dimenticati di una cosa. Magari non
fa notizia, fa vendere meno a giornali e fa meno ascolti in
televisione, ma stiamo tralasciando un settore troppo importante
quanto dimenticato, l'agricoltura e più in generale l'intero
comparto del primario. Non che mi aspettassi niente di che
dall'offerta politica su questo campo, ma quantomeno un cenno di
vita. Non se ne parla mai, nonostante le occasioni di lavoro offerte
anche in tempo di crisi, un quota sul pil sempre crescente, e un
valore aggiunto in costante ascesa. Nonostante le mille difficoltà,
rappresentate in gran parte dal reddito degli agricoltori, sempre più
eroso a causa di costi di produzione crescenti. Occorre una nuova
politica agricola nazionale, che, in primis cerchi il giusto
equilibrio nel livello dei prezzi fra produttore e consumatore, oltre
a garantire maggiore efficienza in campo, più aggregazione fra le
imprese (la media ettari di un'impresa in Italia è fra le più basse
d'Europa) e un marketing sempre più deciso per accrescere l'export,
già molto trainante. Il settore agricolo è certamente strategico,
senza dubbio. Basta saper leggere una manciata di dati. Nel 2050 la
popolazione mondiale toccherà quota oltre nove miliardi di persone,
ovvero due in più di quelli attuali, e di conseguenza, aumenterà
fortemente la domanda di cibo. Per adeguarsi a questi ritmi,
l'agricoltura dovrà correre più forte, e adeguare la propria
produzione mondiale di circa 70% in più. I paesi più popolosi come
Cina, India, Brasile sono già partiti da alcuni anni con una decisa
politica di acquisizioni di terre a basso costo, specialmente in
Africa, al fine di far fronte alla propria crescita della popolazione
al proprio interno. Tale fenomeno, detto “Land Grabbing” si sta
diffondendo sempre di più, e se da una parte garantisce in
prospettiva grandi quantità di risorse ai maggiori paesi, dall'altra
va a scapito della popolazioni autoctone di quelle terre, costrette a
rimanere con pochi pugni di riso in mano. E' per questo che il nostro
paese non ha tempo da perdere, e deve mettersi in moto non per
contribuire a una neo forma di colonialismo, come può essere
licitamente ritenuto il Land Grabbing, ma cercando di valorizzare le
proprie terre e accrescere in quantità e qualità le proprie
produzioni. L'era dei derivati e dell'economia di carta è ormai
terminata, ora è tempo di economia reale. E l'economia reale deve
ripartire dall'agricoltura.
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